Nella Giornata mondiale sul tumore ovarico ripercorriamo le novità terapeutiche che hanno aumentato la sopravvivenza delle pazienti colpite. Aumenta anche la disponibilità dei test per valutare il rischio genetico, che interessa una malata su due.
No women letf behind. È questa la frase che caratterizza la Giornata mondiale sul tumore ovarico, che si tiene oggi 8 maggio in tutto il mondo. Perché nessuna donna, in caso di malattia, deve essere “lasciata indietro”. Tutte, al di là della loro Nazione di appartenenza, devono avere il medesimo diritto alle cure.
Le iniziative che si svolgono nell’arco di questa giornata sono molte, e tutte hanno come obiettivo quello di migliorare le informazioni su questa forma tumorale. Per l’Italia, l’elenco aggiornato degli appuntamenti è sul sito di ACTO Italia, Alleanza contro il tumore ovarico.
I test: sì per tutte
La diagnosi di tumore ovarico deve essere seguita dall’esecuzione dei test BRCA e HRD. Quest’ultimo, frutto delle ricerche più recenti, valuta la positività o meno a un difetto di ricombinazione omologa presente, secondo gli ultimi dati, nel 50% delle donne colpite da carcinoma ovarico sieroso di alto grado. Viene eseguito utilizzando una tecnologia statunitense, con difficoltà di tempi di risposta e di costi, che non vengono rimborsati dal Servizio sanitario nazionale. Alcuni Centri in Italia però si sono attivati e sono già in grado di eseguire autonomamente il test, affinché sia possibile avere rapidamente i risultati e impostare la giusta terapia.
I farmaci protagonisti del cambiamento
In questi ultimi anni la ricerca ha fatto passi da gigante, con la formulazione di terapie mirate che stanno cambiando il destino delle donne con una diagnosi di tumore ovarico. Solo in Italia, sono 5.370 le nuove diagnosi all’anno, secondo gli ultimi dati.
La classe di principi attivi protagonista di questi cambiamenti in positivo è quella del PARP inibitori. Sono stati utilizzati inizialmente nelle recidive e hanno mostrato subito una buona efficacia nel ritardare le recidive stesse. A partire dal 2018 vengono impiegati in prima linea, come terapia di mantenimento dopo la chemioterapia, con risultati definiti particolarmente sorprendenti soprattutto nelle donne con mutazione del gene BRCA e in quelle il cui tumore è positivo al test HRD.
Gli ultimissimi studi hanno dimostrato che aumenta la sopravvivenza libera da malattia e la sopravvivenza globale. Questo significa che è ora possibile curare e potenzialmente guarire più donne. Lo ha dimostrato lo studio SOLO1 su pazienti con mutazione BRCA: a 7 anni dalla diagnosi, sopravvive il 67% di pazienti trattate con PARP inibitori rispetto al 46% che non li ha ricevuti e il 45% delle pazienti non ha avuto recidive rispetto al 20% che non li ha ricevuti.
Giornalista scientifica dal 1992, specializzata in comunicazione della salute con particolare attenzione all'oncologia. Esperienza pluriennale in campagne informative e divulgazione scientifica. Vincitrice del premio Giovanni Maria Pace nel 2019 per il giornalismo in ambito oncologico.