Al congresso mondiale di oncologia ASCO, sono state presentate terapie innovative per la cura del tumore del seno e del polmone. Filippo de Braud, direttore del dipartimento di Oncologia ed ematologia dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano spiega il funzionamento di queste nuove armi a disposizione dei medici
Ci sono novità che arrivano da ASCO, il congresso mondiale di oncologia. Sono terapie innovative,
avallate da studi scientifici, messe a punto con un obiettivo ben preciso: rendere il cancro una
malattia sempre più curabile. E a piccoli passi, ci stiamo arrivando. Oggi infatti le persone cosiddette
“survivor”, cioè che hanno avuto un cancro, sono poco meno di 4 milioni, con numeri in continua crescita.
Ma quali sono le nuove strategie? E per chi sono indicate? Ne parliamo con Filippo de Braud,
Direttore del Dipartimento di Oncologia ed Ematologia, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei
Tumori di Milano e Professore Ordinario Università degli Studi di Milano.
Questo è stato definito “l’Asco degli anticorpi-coniugati”, perché?
È ancora nella mente di tutti la standing ovation ad Asco 2022, alla presentazione dei dati relativi a
trastuzumab-deruxtecan, il primo nella famiglia degli anticorpi-coniugati, che ha cambiato il destino
delle donne con tumore al seno metastatico HER2 low. Si tratta di quella forma che può avere o
meno i recettori ormonali, ma che si caratterizza per la presenza in quantità bassa del recettore
HER2 e che riguarda circa il 50% di tutti i casi di tumore del seno metastatico. Nel corso di questo
Asco sono stati presentati ulteriori dati, che riguardano pazienti con tumore del seno metastatico
HR+, HER2-low e HER2-ultralow: rispetto alla chemioterapia standard, chi ha seguito questa terapia
ha vissuto più a lungo, senza progressione o peggioramento della malattia. Anche in questo caso il
risultato rappresenta un cambiamento epocale, perché ci permette di utilizzare trastuzumab
deruxtecan precocemente, in donne con malattia metastatica che fino ad oggi non hanno avuto la
possibilità di beneficiare di un farmaco mirato dopo la terapia endocrina.
Ad Asco sono stati presentati anche i dati di un’altra terapia della famiglia degli anticorpi-coniugati. In questo caso, si chiama datopotamab deruxtecan e l’anticorpo è indirizzato contro un altro recettore, chiamato TROP2. Lo studio presentato ne ha dimostrato l’efficacia nel caso di pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule localmente avanzato o metastatico: rispetto alla chemioterapia, ad oggi l’unica strategia possibile, sono stati ottenuti dati relativi alla sopravvivenza, e soprattutto alla sopravvivenza libera dalla progressione della malattia, che ci fanno ben sperare in un cambiamento a breve nella pratica clinica anche per questa forma di tumore al polmone, la più diffusa e purtroppo ancora diagnosticata molte volte tardivamente. Infine, un farmaco simile con lo stesso target è sacizumab-govitecam, già utilizzato e rimborsato nel nostro Paese per il tumore del seno triplo negativo a progressione dopo trattamento chemioterapico.
Ci ricorda come agiscono questi nuovi farmaci?
La loro peculiarità è la massima efficienza nella somministrazione in modo selettivo di una sostanza
citotossica , cioè chemioterapica, alle cellule tumorali. Combinano infatti in un mix assolutamente
unico, anticorpi monoclonali, un linker stabile e un potente agente citotossico. L’anticorpo
monoclonale è in grado di trasportare la chemio all’interno della cellula malata, senza che questa
se ne accorga. Inoltre ha dalla sua una potente citotossicità in grado di indurre, una volta all’interno
della cellula tumorale, un danno letale al DNA tale da causare la morte della cellula tumorale stessa.
In più, può viaggiare attraverso la membrana cellulare della cellula tumorale e colpire e uccidere
le cellule tumorali vicine, indipendentemente dall’espressione di antigeni specifici sulla loro cellula.
Il meccanismo è complicato, ma non a caso viene associato al cavallo di Troia.
Si è parlato molto in Italia anche di uno studio per il tumore triplo negativo. Di cosa si tratta?
È il primo in assoluto sul carcinoma mammario a livello mondiale che ha preso in considerazione la possibilità di consolidare i risultati della chemioterapia neo-adiuvante con un trattamento immunoterapico adiuvante dopo l’intervento chirurgico. Le pazienti presentavano un tumore al seno triplo negativo precoce ad alto rischio e oltre l’80% di loro aveva un residuo di malattia dopo un primo
trattamento di chemioterapia neo-adiuvante. Sono state divise in due gruppi omogeni e le prime
hanno seguito per un anno la terapia con un farmaco immunoterapico, avelumab, mentre il secondo
gruppo ha solo svolto dei controlli periodici di follow up. Sono stati ottenuti buoni risultati, in
particolare la sopravvivenza globale a 3 anni è stata maggiore del 8,5% nel gruppo delle donne
trattate, rispetto a quelle del gruppo di controllo. Lo stato dell’arte attuale prevede che l’immunoterapia sia combinata con chemioterapia nel trattamento neoadiuvante, per poi proseguire per nove mesi post-intervento. Questo studio è stato importante perché ha dimostrato che l’immunoterapia adiuvante può migliorare la prognosi.
E’ stato presentato uno studio che riguarda la possibilità di gravidanza dopo un tumore al seno. Cos’ha dimostrato?
I ricercatori hanno analizzato i dati dello studio prospettico Young Women’s Breast Cancer Study che
aveva coinvolto 1213 pazienti di età pari o inferiore a 40 anni con una diagnosi di tumore al seno di
stadio da 0 a 3 ricevuta tra il 2006 e il 2016. Il 68% delle pazienti è stato sottoposto alla
chemioterapia, il 57% alla terapia endocrina e il 58% alla radioterapia. A tutte è stato chiesto di
compilare un questionario relativo alla gravidanza. È emerso che nell’arco di 11 anni dalla diagnosi,
197 donne hanno cercato una gravidanza: di queste, il 73% è rimasta incinta almeno una volta con
una gravidanza portata a termine per 9 donne su dieci. Il dato importante è che non sembrano
avere un impatto sulla possibilità di gravidanza fattori quali una storia di infertilità, precedenti
nascite, caratteristiche del tumore al seno, tipo di trattamento ricevuto, mentre il messaggio che
emerge fortemente riguarda il valore del counselling e la necessità di agevolare il ricorso alle
tecniche di conservazione della fertilità nel caso di giovani donne.
Professor de Braud, concludiamo con un appello dall’Asco a favore della vaccinazione anti-papilloma virus?
Certo, e lo facciamo citando uno studio della Thomas Jefferson University che è stato condotto sui
maschi, la categoria più refrattaria a sottoporsi al vaccino. Il dato forte che è emerso riguarda i tumori
testa-collo. Nei caso dei maschi, è stata registrata una riduzione di oltre il 55% di casi di questa forma
tumorale, rispetto a chi non si è sottoposto al vaccino. Ricordo che l’infezione da HPV rappresenta la
causa di oltre il 30% dei tumori dell’orofaringe: gli studi come questo rafforzano il valore del vaccino,
purtroppo manca ancora la consapevolezza sull’importanza della vaccinazione anti-HPV anche per i
ragazzini.
Cosa “bolle in pentola” che vedremo nel prossimo ASCO?
Uno dei punti cruciali riguarda lo sviluppo di nuovi farmaci contro il gene RAS, che sembrava impossibile inibire, e di conseguenza sull’importanza di nuove molecole RAS-inibitori. All’orizzonte ci sono anche le combinazioni con farmaci target e innovativi, sia in sequenza, sia utilizzando la tecnica degli anticorpi b-specifici, cioè che possono combinare due bersagli contemporaneamente.
Giornalista scientifica dal 1992, specializzata in comunicazione della salute con particolare attenzione all'oncologia. Esperienza pluriennale in campagne informative e divulgazione scientifica. Vincitrice del premio Giovanni Maria Pace nel 2019 per il giornalismo in ambito oncologico.