L’11 novembre è la giornata tradizionalmente dedicata a San Martino, patrono delle Cure Palliative. La leggenda narra che San Martino, non potendo curare un mendicante malato e infreddolito, gli abbia donato un pezzo del suo mantello perchè si potesse almeno coprire.
Quello delle cure palliative è considerato un ambito difficile in cui fare volontariato perchè si lavora a stretto contatto con la sofferenza e la morte. Sono poche le persone che vogliono recarsi in hospice o andare al domicilio del malato.
Ma qual è esattamente il ruolo del volontario nelle cure palliative? Lo abbiamo chiesto a Nausika Gusella, psicoterapeuta e dirigente ASST Nord Milano Ospedale Bassini, che da 16 anni lavora nell’ambito.
Qual è il punto di forza di questa tipologia di volontariato?
Chi riesce a superare la paura e ci prova poi si ritrova con una grande motivazione. È un grande arricchimento perché dà la possibilità di guardare la vita dalla fine. Così si dà un significato diverso alla propria esistenza e si può trovare molta pace. È normale sentirsi spaventati da questo ambiente. A tutti piace pensare al bello e alla vita quasi come se fosse infinita. Qui insieme ai pazienti ci si nutre di altre speranze e valori. La bellezza dello stare insieme, del godersi tutti i momenti. Il gruppo di volontari è molto affiatato e si supporta a vicenda. Inoltre, è affiancato da me e un’altra collega, pronte a dare sostegno anche a chi assiste.
Uno dei momenti più emozionanti di questo lavoro è quando il paziente, ascoltato anche dal volontario, rinarra tutta la propria vita alla luce di quello che sta passando e ne dà un senso. È un percorso che aiuta tutti.
In che modo il Covid-19 ha cambiato il volontariato per le cure palliative?
Prima c’era più vita sociale e si creavano momenti di comunione tra i pazienti i volontari e lo staff. Prima del covid i malati vedevano tanta gente. Ora gli interventi sono individuali e avvengono in camera. Ancora di più quindi il ruolo del volontario è centrale. Rappresenta il mondo che arriva da fuori, è vitalità. In questa dimensione di isolamento e di solitudine è il volontario che può aiutare ad alleviare. Ascolta con discrezione, è presente, fa delle coccole fisiche ed emotive (porta il the, i biscotti, ascolta delle canzoni).
Durante i momenti più duri della pandemia, in cui nessuno poteva uscire i volontari hanno creato un supporto a distanza tramite whatsapp e skype, creando dei legami che tutt’oggi durano.
Perché è importante essere presenti in questi momenti?
Le cure palliative sono destinate a quelle persone che hanno ricevuto un’infausta diagnosi di inguaribilità. Diventa quindi fondamentale essere presenti perché sono gli ultimi momenti di vita, e come tali vanno riempiti. I volontari fanno proprio questo, fanno in modo che le persone si sentano meno sole e disperate.
Nella fiaba di Biancaneve si diceva “sii gentile e abbi coraggio.” Questo è quello che viene chiesto ai volontari con il primo approccio. È difficile oggettivamente. Ma quando si supera lo scoglio si ha che fare con un mondo di emozioni e valori a cui di solito prestiamo meno attenzione. Si diventa persone a tutto tondo, più ricche.
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