Monica Niger ha 34 anni e svolge due attività: ricercatrice e dirigente medico, presso l’oncologia medica 1 dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, diretta dal prof. De Braud. Per dirla in parole semplici, è alla costante ricerca di nuove strategie, ma ha anche la possibilità di capire “sul campo” come orientarsi, perché i pazienti li segue dal punto di vista medico. «L’ Istituto è da diversi anni la mia seconda casa, qui ho fatto anche il mio percorso di scuola di specialità», racconta. «Ora sono oncologo medico nell’unità che si occupa dei tumori gastrointestinali e mi occupo di tumori del pancreas e delle vie biliari, sia da un punto di vista clinico, sia per quanto riguarda la ricerca. L’ultimo anno di specialità l’ho trascorso all’università di Yale nel Connecticut, negli Stati Uniti dove ho lavorato sia in clinica, sia in laboratorio. È stata un’esperienza molto importante per me, per cui il prof de Braud e l’istituto mi hanno supportata». Quando ha deciso di dedicarsi alla ricerca, oltre che alla clinica? «La mia decisione è nata durante la specialità, ho visto che non ero interessata solo ai nuovi sviluppi, ma a prenderne parte e a cercare sempre quel qualcosa in più. Per ogni paziente che si visita in ambulatorio, si pensa, “come si può migliorarne la situazione?”. è così che aumenta la voglia di andare avanti, sotto la spinta di un fuoco capace di autoalimentarsi e crescere nel tempo. Così è stato per me e spero continui ad esserlo.» Un anno negli Stati Uniti e poi è rientrata in Italia. Se pensa al suo futuro, dove se lo immagina? «La decisione di rientrare in Italia non è stata facile, perché le opportunità che mi si erano state offerte negli Stati Uniti erano molto interessanti. Alla fine, sono tornata perché credo nella ricerca in Italia. Le difficoltà non mancano e sono ben note e non ci sono sempre le risorse economiche disponibili, ma c’è sempre tanta voglia di fare. Ho visto colleghi e mentori, come la dott.ssa Di Bartolomeo ed il dott. Pietrantonio, con cui lavoro da anni, sviluppare progetti di altissimo rilievo con pochi mezzi. Penso che questo sia qualcosa che possiamo fare in particolare noi italiani, grazie alla capacità di inventiva e di risposta alle difficoltà.» Quanto riesce a gestire una vita professionale impegnativa e la sfera privata? «Sono conscia che come donna ci possano essere delle difficoltà pratiche, di equilibrio tra vita personale e lavorativa, però per ora la voglia di fare prevale su tutto. Ho un compagno eccezionale che fa fronte alla situazione. Non è facile vivermi accanto, con tutti i pensieri e problemi che comportano il lavoro di ricerca e la clinica. Per questo mi ritengo fortunata, lui e la mia famiglia sono molto di supporto. Certo, ho perso qualche amico, però ne ho altri che anzi mi incoraggiano, anche tra i colleghi, perché si rendono conto che questo per me non è solo un lavoro, è parte di quello che sono, è il mio approccio alla vita.» Cosa consiglierebbe a una ragazza che in questo momento sta pensando di dedicarsi alla ricerca? «Deve capire cosa vuole, cosa la appassiona veramente, se è solo la clinica, cioè curare il malato, va benissimo perché è un lavoro bellissimo. Se invece è la ricerca, e se c’è la voglia di trovare nuove risposte, allora va bene “fare il salto”. Si conoscono tante persone, sia pazienti e associazioni che colleghi e gli stimoli sono sempre tanti.» Quanto è emozionante il proprio nome su uno studio clinico? «Molto, e questo sempre. Talvolta, è il frutto di un coinvolgimento breve, altre volte è l’attività intensa e protratta per mesi o addirittura anni, e in tal caso il proprio nome sul Paper può rappresentare la chiusura di un cerchio, ma spesso anche l’inizio di un nuovo progetto. È il bello della ricerca.»
Monica Niger
3 min lettura • Storie • A cura di Redazione LILT • Ultimo aggiornamento:
Monica Niger
Ricercatrice e dirigente medico
Ricercatrice e dirigente medico