Il primo dicembre ricorrono i 40 anni di lotta contro l’AIDS. Una giornata importante, che ha spinto l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha ribadire l’intenzione di debellare il virus entro il 2030. Certo, la strada è ancora lunga e la situazione pandemica non rema certo a favore.
Dati alla mano. Nel 2020 diagnosi dimezzate
Secondo i numeri diramati dall’Istituto Superiore della Sanità, nel 2020 si è verificato un dimezzamento delle diagnosi, ma non è una notizia positiva. «Il sospetto è che non sia un’effettiva riduzione dei casi, ma un ritardo a causa della pandemia», interviene Carlo Federico Perno, tra i più noti esperti internazionali di HIV e direttore della microbiologia dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma. «È una situazione problematica, che sta incidendo anche sull’assistenza ai pazienti, con un’alterazione nel ritmo abituale delle visite di controllo di persona, perché i reparti di malattie infettive sono impegnati nella cura dei malati Covid. Per fortuna, l’esperienza di questi 18 mesi ha fatto sì che oggi si faccia un maggiore ricorso alla teleassistenza e questo ci permette di seguire i nostri pazienti anche da remoto».
La vera vittoria è la diagnosi. Non avere paura
La diagnosi precoce è importante, perché permette di mettere a punto tempestivamente terapie ad hoc, con un’aspettativa di vita che oggi è simile a quella di chi non ha l’infezione da HIV. Certo, la paura rema ancora pesantemente contro la decisione di sottoporsi a un’analisi di controllo. E purtroppo è ancora carente l’informazione sulla malattia e sulla sua prevenzione. Questo vale anche per la categoria medica. «A distanza di sei, otto settimane dal contagio si scatena una prima cascata di sintomi» sottolinea il professor Perno. «I disturbi sono febbre, mal di gola, stanchezza, in forma aggressiva. Il problema però è che molte volte il medico si ferma a una diagnosi basata sulla visita clinica, senza ulteriori approfondimenti se non magari, visto il periodo, un tampone per accertare se si tratta di Covid. In questo, si fida anche del paziente che spesso cela informazioni importanti sulla sua vita sessuale». Questa prima esplosione di sintomi si acquieta, ma il virus continua il suo lavoro silenzioso e dà segno di sé quando ormai la malattia è avanzata, talvolta anche a distanza di anni, con attacchi esagerati di candidosi specialmente alla mucosa della bocca, ghiandole gonfie, forte dimagramento.
Test e terapie per mantenere una vita di qualità
«L’Italia è all’avanguardia per quanto riguarda le cure» aggiunge il professor Perno. «E oggi grazie a queste straordinarie terapie la mortalità per questa malattia è molto limitata, soprattutto se paragonata al recente passato. Ma la vera vittoria sarebbe una diagnosi precoce. In caso di dubbio, quindi, bisognerebbe effettuare subito l’analisi senza nascondere la testa sotto la sabbia». In pochi sanno che in Italia si può entrare in qualsiasi ospedale e richiedere il test Hiv senza necessità di ricetta e con la massima tutela della propria privacy. Il test, per chi vuole, è anonimo: significa che non viene richiesto alcun documento personale, ma viene usato un codice criptato per l’identificazione. È un diritto, sancito dalla legge 135/90. «Bisognerebbe partire da qui con l’informazione» dice il professor Perno. «Oltre a ribadire che le principali armi di difesa sono l’attenzione ai rapporti occasionali, e la sincerità. Confessare l’avventura di una notte al proprio partner e decidere insieme di sottoporsi al test sono forme di tutela e rispetto per la salute propria, di chi sta accanto e dei propri figli, che non hanno paragoni».
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Giornalista scientifica dal 1992, specializzata in comunicazione della salute con particolare attenzione all'oncologia. Esperienza pluriennale in campagne informative e divulgazione scientifica. Vincitrice del premio Giovanni Maria Pace nel 2019 per il giornalismo in ambito oncologico.