I vaccini anticancro sono un sogno che si sta concretizzando. Lentamente, certo, ma i risultati degli studi che sono in corso stanno facendo intravvedere una bella realtà. E lo hanno dimostrato anche le ricerche che sono state presentate ad ASCO, il più importante congresso mondiale di oncologia. La loro funzione è quella di armare il sistema immunitario durante la malattia: non sono preventivi, dunque, ma curativi. La loro azione è precisa. Entrano lentamente ma in modo efficace nel cuore della cellula oncologica e la annientano, perché puntano all’antigene espresso dal tumore, cioè alla sostanza che produce la cellula malata e la differenza dalle cellule normali. Ma cos’è emerso dal congresso e cosa aggiungono di nuovo alla ricerca in corso? Ne parliamo con Michele Maio, Direttore del Centro di Immuno-Oncologia al Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena e presidente della Fondazione NIBIT.
In congresso si è parlato di diverse opzioni: vaccini diversi per differenti tumori. È così?
Ci sono solo ipotesi ed è per questo che ci sono diversi agenti terapeutici allo studio. Le ricerche oggi riguardano i vaccini a RNA, simili a quelli anti-Covid in uso ora, ma anche di tipo proteico, di tipo cellulare, di tipo virale. Oggi ad esempio si comincia a intravvedere una robusta immunogeneticità per quanto riguarda i peptidi e le cellule dendritiche. Tutti hanno comunque in comune l’azione, che è quella per l’appunto di trasformarsi in “cavallo di troia” per arrivare nel cuore delle cellule oncogene e distruggerle. In più, si sta arrivando alla definizione dei vaccini agnostici, un grande passo avanti della ricerca.
Che cosa è un vaccino agnostico?
In questo caso, la scelta del paziente non avviene per tumore, ma per caratteristiche molecolari comuni a molti tumori. Mi spiego. Al momento il vaccino allo studio è mirato a pazienti che presentano geneticamente un’elevata instabilità dei microsatelliti. Questa caratteristica molecolare è presente nel 15% dei tumori del colon, oltre che nei tumori cerebrali e dell’ovaio, per citare i più comuni. Questo è un passo avanti importante, perché permette di allargare il ventaglio di chi potrà beneficiarne.
Qual è la differenza tra vaccino e immunoterapico?
La velocità di azione. L’immunoterapico è più rapido, arriva come un uragano nell’organismo per aprire la strada alle altre terapie come la chemio. Il vaccino invece avanza a piccoli passi, fino ad arrivare al tumore e metterlo ko. Per questo, dobbiamo attendere circa tre mesi dalla somministrazione prima di valutare gli effetti.
In congresso si è parlato anche dell’associazione di immunoterapico e di vaccino terapeutico, qual è l’obiettivo?
La ricerca ci ha fatto comprendere come mai in alcuni casi ci sono forme resistenti, che non rispondono alle terapie tradizionali. Sappiamo infatti che la cellula tumorale è infida e talvolta crea un microambiente simile a una corazza che impedisce al sistema immunitario di accorgersi della sua esistenza e alle terapie tradizionali di penetrare all’interno della cellula malata per distruggerla. L’immunoterapia diventa quindi una vera e propria testa d’ariete per poter creare un ingresso utile al vaccino terapeutico per potervi accedere. Per questo, l’associazione tra vaccino e immunoterapico rappresenta la strada giusta da intraprendere, in quei pazienti che non hanno tratto benefici dall’immunoterapia. E sono tanti. Per dare un’idea, circa il 50% di chi ha un melanoma e il 65% circa di chi ha un tumore del polmone.
Gli studi stanno già coinvolgendo pazienti?
Certo, ci sono diversi trial, alcuni di fase uno e altri di fase due. Col mio gruppo di ricerca pensiamo di iniziare uno studio clinico l’anno prossimo, utilizzando un vaccino cellulare autologo, cioè che viene generato dai linfociti prelevati dal paziente stesso, coltivati, attivati e trattati, facendo sì che esprimano degli antigeni specifici. La prima parte dello studio prevede l’uso del vaccino da solo e una seconda fase con l’utilizzo in associazione dell’immunoterapico.
Non abbiamo parlato di modalità di somministrazione, è simile a quella del vaccino tradizionale?
Non proprio. Il vaccino terapeutico viene somministrato sottocute oppure intramuscolo, generalmente con dosi ravvicinate, anche settimanali, all’inizio, per poi diventare all’incirca una volta al mese. Non c’è comunque ancora un protocollo ben definito, gli studi in corso hanno anche questo obiettivo, cioè di comprendere in base alle risposte del tumore, quali possono essere le posologie più indicate.