Chirurgia oncoplastica mammaria: le protesi mammarie
Prendersi del tempo, confrontarsi col proprio oncologo sui diversi modelli, risolvere insieme dubbi e timori. Di cosa stiamo parlando? Delle protesi mammarie, che di tanto in tanto tornano alla ribalta non per parlare dei vantaggi, ma dei rischi. Ultima, la probabilità di ammalarsi di un tumore raro chiamato linfoma anaplastico a grandi cellule tra chi indossa protesi al silicone. Ma cosa c’è di vero? E quali sono le regole che deve seguire chi ha una protesi mammaria? Infine, è possibile un’alternativa? Ne abbiamo parlato con Egidio Riggio, chirurgo plastico Istituto nazionale dei Tumori di Milano.
Il rischio di sviluppare un tumore dopo aver inserito le protesi è reale?
Facciamo subito chiarezza sul rischio di linfoma anaplastico a grandi cellule. È vero, esiste. A provocarlo è il modello di protesi testurizzato, cioè con la superficie esterna rugosa: può provocare un’infiammazione cronica ai tessuti che altera il metabolismo fisiologico delle cellule e in donne predisposte porta alla formazione del tumore. Ma attenzione. Di questa forma di tumore, che ripetiamo, è rara, si ammala ogni anno una donna su 30 mila tra chi indossa una protesi al silicone testurizzata, come ha evidenziato uno studio pubblicato su Jama Surgerym che ha analizzato 115 lavori scientifici. Va detto anche che tutte le donne che indossano una protesi mammaria effettuano regolarmente ogni anno un controllo annuale che prevede anche l’ecografia mammaria. Questo, permette di cogliere tempestivamente i segni di questa rara forma tumorale e curarla bene.
Quali sono i rischi delle protesi mammarie?
In assoluto, comunque, le protesi mammarie possono comportare dei rischi che si possono risolvere se colti ai primi segnali. Massima allerta quindi in caso di indurimento del seno, oppure di un arrossamento con calore nella zona infiammata, o ancora, di un ingrossamento di una parte. Si può trattare ad esempio di un’infezione: si cura con una terapia antibiotica, ma non bisogna perdere tempo, altrimenti si rischia l’intervento per togliere la protesi. L’altra ragione più comune legata a questi disturbi è la contrattura capsulare, cioè lo sviluppo di tessuto cicatriziale attorno alla protesi. In questo caso l’ultima novità è il lipofilling, vale a dire il trapianto di grasso col suo contenuto di cellule staminali prelevato dalla paziente stessa. Si è visto infatti che migliora il tessuto e in certi casi si risolve del tutto il problema. Questo effetto migliorativo è però più evidente nelle ricostruzioni, dopo radioterapia.
Le protesi non scoppiano ma attenzione: non sono eterne
Sfatiamo anche l’idea comune che le protesi possono scoppiare. Questo non è vero, ma certo non sono eterne: la durata media è all’incirca di 15 anni, dopodiché vanno sostituite, perché si usurano e prima o poi si rompono. E in circa il 10% dei casi, si può creare una spaccatura sulla superficie della capsula, con la fuoriuscita del gel contenuto all’interno che può alla lunga causare infiammazioni e indurimenti, se non viene rimosso. Per questo, va ancora una volta ribadito, è importante il controllo annuale, preventivo.
Quali vantaggi da una ricostruzione?
Oggi il risultato è più naturale rispetto a un tempo, grazie alla diagnosi tempestiva. Aumentano infatti le probabilità di ricorrere alla mastectomia nipple sparring che consiste nell’asportazione solo della ghiandola mammaria, mantenendo la cute con areola e capezzolo.
Come si sceglie la protesi mammaria?
Per quanto riguarda invece la scelta della protesi mammaria va fatta in base a diversi criteri. Se il seno controlaterale, cioè quello non operato, è di taglia piccola oppure media e le condizioni cliniche lo permettono, si può effettuare l’inserimento della protesi al silicone nell’immediato. Di recente per facilitare la ricostruzione immediata con un singolo intervento si impiegano anche delle reti sintetiche e delle matrici biologiche a rivestire subito le protesi ma come per ogni tecnica chirurgica il loro impiego non è scevro da complicazioni naturalmente. Altrimenti, si opta per l’espansore, che in pratica è una protesi temporanea. Richiede alcune sedute ambulatoriali per gonfiarla man mano e nell’arco di sei mesi è possibile inserire la protesi definitiva nello spazio che si è creato. Come ulteriore opzione, esiste poi la possibilità di ricostruzione con tessuti autologhi: si utilizzano lembi di tessuto della donna stessa, prelevati solitamente dalla parte bassa dell’addome. Viene scelta però da meno del 10% delle donne, perché rimangono cicatrici e deficit nella zona del prelievo.
Esperienze dal mondo
Purtroppo in alcune aree geografiche del mondo, ad esempio in Brasile, le donne sono costrette ad attendere molto tempo (anche fino a otto anni dall’intervento) prima di poter affrontare la ricostruzione del seno. Per questo, c’è anche chi decide di non mettere la protesi mammaria. A fare questa scelta sono anche le donne americane, perché negli Stati Uniti non tutte le assicurazioni sanitarie coprono il costo. Molte, quindi, dopo una mastectomia radicale optano ad esempio per tatuaggi importanti, che coprono del tutto la zona operata e camuffano le cicatrici.
In Italia il Servizio Sanitario nazionale si accolla dall’intervento, alle cure, alle protesi, se ci si rivolge a un Centro pubblico. Ciononostante, è una scelta che, seppure raramente, riguarda anche le donne italiane e che dovrebbe essere accettata senza stigmatizzazione. A prendere questa decisione sono prevalentemente donne anziane, soprattutto in caso di mastectomia bilaterale oppure di seno piccolo, oppure di donne giovani, ma sempre con il seno controlaterale piccolo. Gioca a volte anche lo choc. Chi ha subito un intervento con una protesi sbagliata, oppure ha avuto problemi nei mesi successivi, talvolta rifiuta la seconda operazione e preferisce il tradizionale reggiseno con la coppa imbottita.