Sono bravi gli uomini, quando si parla della loro salute. In particolare quando si parla di tumore della prostata. Lo ha dimostrato un’indagine realizzata di recente da Elma Research: il 60% degli intervistati cita il tumore della prostata tra le neoplasie maschili più diffuse. Il 72% indica che il rischio inizia ad aumentare a partire dai 50 anni, mentre la visita urologica e il dosaggio del PSA vengono rispettivamente indicati dal 68% e dal 79% quali parti dei controlli preventivi. Tutto bene dunque? No, perché poi a conti fatti, solo il 25% degli uomini over 40 si sottopone alla visita urologica. Ma come mai sono così restii ad occuparsi della loro salute? E quali potrebbero essere le strategie da mettere in pratica per migliorare la loro consapevolezza?
Lo abbiamo chiesto a Lara Bellardita, psicologa e psicoterapeuta, consulente Programma Prostata Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, coordinatrice del Centro Psicologia Maggiolina di Milano e membro del Comitato Scientifico Europa Uomo, l’associazione pazienti con tumore prostatico.
Perché gli uomini sono così recalcitranti quando si tratta della loro salute?
Sicuramente possiamo dire che non si tratta di cattiva volontà. Molti gli studi analizzano le ragioni per cui gli uomini sono poco propensi a occuparsi della loro salute e quello che emerge è un quadro decisamente complesso. C’è ancora una grossa lacuna in termini di conoscenza degli uomini rispetto al carcinoma prostatico e un gap sul perché ci si ammala. Un altro degli elementi che entra in gioco è quello relativo alle motivazioni. Spesso la salute per gli uomini non è una priorità, lo è di più il lavoro, che fa parte dei valori primari di genere. Un uomo si occupa della propria famiglia, la sostiene, lavora affinché i figli possano andare a scuola. Va detto infine che, rispetto a noi donne, gli uomini tendenzialmente non si confrontano tra di loro, può essere considerato inopportuno dov’è ancora radicata una cultura che ha forti componenti macistiche.
Quali azioni si possono mettere in pratica per incentivare la prevenzione dei tumori maschili?
Gli uomini stanno cambiando e questo va detto, sono più consapevoli, più informati, anche se c’è ancora moltissimo lavoro da fare. Ci sono da migliorare le loro conoscenze: più ne sanno del proprio corpo, della ghiandola prostata, del sistema riproduttivo maschile, e minore è la paura e il senso di disorientamento, perché la conoscenza contribuisce al senso di controllo rispetto a cosa sta accadendo. Faccio un esempio. Il più delle volte gli uomini associano i disturbi minzionali al tumore, ma spesso non è così. Avere una maggiore conoscenza di quella parte del loro corpo consentirebbe di avere una mappa che, nel caso in cui si presenti la malattia, li renderebbe più attivi nei confronti della malattia. Lo stesso vale per i controlli preventivi. Spesso una delle barriere che tiene lontani gli uomini dalle visite urologiche e quindi dalla diagnosi precoce, è lo scenario che si costruiscono sulla visita. Vivono l’esplorazione rettale come qualcosa di estremamente imbarazzante. Potenziare invece l’educazione sulle procedure che vengono utilizzate durante le visite, può contribuire a far sì che si interessino di più alla salute, invece di affidarsi a gesti scaramantici.
Qual è oggi il ruolo della donna?
Quando, ormai più di 12 anni fa, ho iniziato a lavorare a stretto contatto con i pazienti con tumore alla prostata, vedevo delle figure femminili che tendevano a sostituirsi al partner. Una delle azioni all’interno della visita multidisciplinare era di ascoltare l’accompagnatrice e quindi dare voce al paziente per conoscere le priorità, le preoccupazioni. Mi accorgo nella pratica quotidiana che questo succede molto meno, e forse le stesse donne stanno modificando il proprio atteggiamento. Quello che spesso consiglio alle coppie quando si parla di salute è di fare squadra, re-distribuire i compiti, motivarsi vicendevolmente, imparare a comunicare sulle proprie emozioni.