La storia di guerra è nota. Un giovanissimo militare russo viene circondato da donne ucraine. Gli danno da mangiare e da bere e gli porgono un cellulare per telefonare alla mamma, affinché non si preoccupi. È una vicenda che fa riflettere, che spicca nel mare di storie dolorose, di famiglie in fuga dalla propria Nazione, di bambini uccisi e con loro il futuro. Un momento drammatico per tutti, che non si può ignorare. Abbiamo voluto affrontare il tema, certo non dal punto di vista politico, ma dell’impatto che sta avendo e come reagire, con Luciana Murru, psicologa e psicoterapeuta dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.
Come parlare di guerra ai bambini?
Come rispondere a una delle domande che sta ricorrendo di più in questo periodo.
Bisogna educare i bambini alla tolleranza e questo va fatto quando sono piccoli, perché il loro cervello è scarsamente condizionato. E questo, senza imposizioni. Mi spiego con un esempio. Se il proprio figlio sta giocando alla guerra col suo amichetto, quello che non va assolutamente fatto è di strappare le armi con una ramanzina. Al contrario, si lascia che termini il gioco, e poi si fa in modo che le sue energie, la propensione alla sopraffazione, la rabbia, vengano canalizzati su qualcosa di più costruttivo come lo sport. L’attività sportiva ha proprio questo come obiettivo, e non è un caso se le Olimpiadi rappresentano uno tra i più grandi momenti di pace e di tolleranza fra popoli provenienti da ogni parte del mondo. Fra l’altro, l’utilizzo dello sport quale catalizzatore delle energie “violente” fa parte anche della politica di molte amministrazioni locali, che in questo modo strappano i ragazzi alla malavita.
A ogni ora e su ogni mezzo di comunicazione, dalla televisione a internet, ai giornali, arrivano immagini molto forti sulla guerra.
Comunicare con i più piccoli
Non si può chiuderli in una bolla perché il mondo di oggi non lo permette più. Ma si può raccontare che ci sono bambini che stanno scappando dalla loro Nazione insieme alle loro mamme. E questo, può diventare lo spunto per aprire insieme la cesta dei giochi e scegliere quelli da consegnare al centro raccolta. Oppure, se va alle elementari, far sì che se ne parli in classe e perché no, siano i bambini stessi ad attivare una donazione. Sono gesti importanti.
Costruire la pace: un processo prima di tutto mentale
La pace prima di essere una questione esterna, è mentale, se le persone stanno attente a ciò che accade nella mente, non si arriva alla guerra. La guerra è l’atto finale il più tragico, di ciò che succede negli animi umani, la manifestazione del caos interno. Ma bisogna essere consapevoli di queste parti ombra dentro di noi, conoscerle, significa accettarle e neutralizzarle, a favore di altri sentimenti. È la luce che prevarica sul buio.
In questi giorni si legge di una forte adesione da parte della cittadinanza, di giovani che si ritrovano nei punti raccolta a preparare i pacchi per l’Ucraina.
Può essere una reazione al periodo di clausura dettato dalla pandemia?
Probabilmente sì, la vita è presente quando c’è sostegno, accoglienza, protezione e tutto ciò è mancato in questi anni a causa del virus. E gli atti di altruismo che stiamo vedendo in queste tragiche giornate, possono essere una reazione, gli esseri umani danno il meglio di sé quando hanno a che fare col dolore, perché il dolore è una richiesta di aiuto, è il bisogno degli altri, è la guarigione degli strappi mentali, un modo per raggiungere la pace.
Che valore ha l’aiuto?
Incalcolabile e questo vale per tutti, grandi e piccoli. Alla nascita il cervello ha già attivi alcuni circuiti neuronali che predispongono a fare alcune esperienze. Uno di questi è quello della cura, che ci porta a prenderci cura di qualcuno, a donare come forma di cura. È un circuito che negli anni diciamo che si impolvera, ma va solo stimolato, aiutato a riemergere, e questo vale per tutti, anche per gli adulti. Come dicevo prima, nell’essere umano c’è il caos, ma c’è anche l’ordine, ci sono rabbia e desiderio di prevaricare, ma anche propensione alla vicinanza, al sostegno. Il dono stimola un cambio di direzione verso sentimenti più costruttivi.
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