Nella Giornata Mondiale delle Donne e Ragazze nella Scienza, proclamata dalle Nazioni Unite nel 2015, presentiamo l’esperienza di Francesca Buffa tra ricerca, resilienza e innovazione.
Francesca Buffa si è laureata in fisica teorica all’università di Torino e ha trascorso circa vent’anni all’Università di Oxford. Oggi è professoressa ordinaria presso il Dipartimento di Scienze Computazionali dell’Università Bocconi di Milano e Principal Investigators, dove ha un programma di ricerca sull’applicazione dell’Intelligenza Artificiale nelle Scienze della Vita e insegna corsi di laurea triennale e magistrale in Intelligenza Artificiale e Scienze Informatiche, e Principal Investigator all’istituto IFOM, dove guida il Laboratori di Intelligenza Artificiale e Biologia dei Sistemi.
È autrice di oltre 150 pubblicazioni di ricerca, molte delle quali su riviste ad alto impatto. Con lei, abbiamo fatto una lunga chiacchierata, in occasione dell’11 febbraio, Giornata mondiale delle donne e delle ragazze nelle STEM, ossia Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica.
Cosa possiamo dire a una ragazza che decide di fare la ricercatrice, per aiutarla a conciliare tutti gli aspetti della sua vita?
Uno dei consigli è di buttarsi in quello che si fa e essere molto concentrate, e questo vale per ogni ambito della propria vita. È importante anche non scoraggiarsi quando le cose non vanno come si vorrebbe, ma imparare a essere resilienti e selettive al fine di incanalare l’energia e focalizzarla dove serve. Poi, certo, ci vuole flessibilità per essere in grado di cambiare i programmi, anche all’ultimo momento, se necessario, soprattutto se come nel mio caso, ci sono anche dei figli.
Quanto conta avere una rete di supporto attorno a sè?
Tantissimo. Innanzitutto non bisogna avere timore di delegare, anche quando si tratta dei figli, e l’abilità sta nell’ imparare a chi e cosa si può delegare. Trovo anche che il network scientifico sia fondamentale, è necessario circondarsi di persone con cui si va d’accordo, dal punto di vista sia scientifico che morale. Infine, agli inizi della propria carriera, è necessario avere quale riferimenti dei mentori validi, che si stimano.
A cosa sta lavorando in questo momento?
Ho due filoni di ricerca. Il primo, più vicino alla clinica, consiste nell’usare i metodi di machine learning e intelligenza artificiale per mettere insieme informazioni molto diverse. La scommessa è di ottenere un quadro completo del paziente in modo da riuscire a capire quali terapie funzionano e in chi. A questa parte si affianca poi il lavoro di ricerca di base e qui oggi stiamo formulando delle simulazioni attraverso la creazione di cellule virtuali per cercare di capire come rispondono a stimoli esterni, che possono essere un farmaco, oppure condizioni particolari, anche estreme, quali basso ossigeno, o attacchi delle cellule immunitarie, come si verificano in un tumore. Capire come una cellula cancerogena sopravvive a questi stimoli, ci aiuta a capire quali farmaci potrebbero funzionare in tumori che al momento non sono curabili.
Ultima domanda. Quanto è utile l’intelligenza artificiale in medicina, nella ricerca?
Non ne conosciamo ancora del tutto l’utilità. Per certi aspetti è già fondamentale. Per esempio durante il Covid, se noi non avessimo avuto pipeline computazionali di analisi dei dati molto veloci e molto efficienti, non avremmo potuto mettere insieme così rapidamente i dati di sequenziamento e altrettanto rapidamente arrivare a un vaccino. Dall’altra, abbiamo modelli ancora a livello molto sperimentale e se davvero ci daranno un vantaggio, lo sapremo solo dopo averli testati. Come tutto ciò che è nuovo, anche l’intelligenza artificiale va testata bene, perché se usata male, può essere pericolosa, anche se in medicina c’è già un tale rigore che i rischi sono minori rispetto ad altri campi.
Giornalista scientifica dal 1992, specializzata in comunicazione della salute con particolare attenzione all'oncologia. Esperienza pluriennale in campagne informative e divulgazione scientifica. Vincitrice del premio Giovanni Maria Pace nel 2019 per il giornalismo in ambito oncologico.