Nella Settimana nazionale per la prevenzione oncologica emerge quanto è importante sapere per prevenire, attraverso controlli medici periodici. Ma c’è anche chi evita i medici per una vera e propria patologia. Si chiama iatrofobia ed è la paura per il camice bianco. Lo psichiatra Claudio Mencacci ci spiega cos’è.
Andare dal medico? No grazie, trova subito qualcosa che non va. I controlli? Chi è sano non ne ha bisogno. Frasi, queste, che nascondono un problema: la iatrofobia. Vale a dire, la paura del camice bianco, degli ambulatori medici, di sottoporsi anche a un semplice prelievo di sangue.
«È un crogiuolo di paure perché legato a questo c’è la fobia degli aghi, del sangue, delle siringhe, insomma, un mondo di ansie incontenibili», sottolinea Claudio Mencacci, specialista in psichiatria di Milano. «Ed è talmente intensa questa fobia da portare con sé tachicardia, palpitazioni, senso di soffocamento, problemi intestinali, con intensità sproporzionati».
I sintomi non sono legati alla presenza del medico, basta il pensiero. La iatrofobia inoltre va oltre lo stato di ansietà che è normale provare in attesa ad esempio dei referti. È invece un mix di pensieri catastrofici, di auto-diagnosi negative che escludono la possibilità di guarigione.
A soffrire di iatrofobia sono soprattutto i maschi. «E’ una paura che solitamente si forma nell’infanzia», continua il professor Mencacci. «Sono persone che vanno aiutate, incoraggiate e qui è fondamentale il resto della famiglia». Vietate dunque le frasi che svalutano la persona, banalizzano le sue paure, i commenti critici oppure aspri, il parallelo tra il non curarsi e la scarsa attenzione nei confronti del partner. Invece, la iatrofobia deve diventare l’occasione per affrontare le paure e superarle. A vantaggio della salute e della qualità di vita. Ma attenzione, la famiglia è preziosa, però difficilmente si riesce da soli a ritrovare gli equilibri.
Per risolvere la iatrofobia ci vuole un aiuto esterno. «Il consiglio è di seguire una tecnica che preveda esercizi di esposizione immaginativa per aiutare la persona a prendere consapevolezza delle emozioni negative», dice il professor Mencacci. «Gradualmente quindi si procede all’esposizione a situazioni che prevedono la presenza del personale sanitario. In questa fase è fondamentale che ci sia una persona cara ed eventualmente vengono anche prescritti farmaci ansiolitici per evitare che scatti il meccanismo di fuga».
Si utilizza anche la terapia dell’esposizione. Si comincia con la visione di immagini relative ad esempio a siringhe o altri dispositivi medici, per poi passare a video attinenti al mondo medico. Qui può essere d’aiuto la telemedicina: accedere a una visita senza emergere dalla comfort zone, è un elemento di avvicinamento al medico e di abbassamento dell’area di ansietà.
«Il ruolo del medico è fondamentale», conclude il professor Mencacci. «Sono indispensabili l’accoglienza, l’empatia e una buona alleanza terapeutica. Solo in questo modo è possibile impostare ad esempio un percorso di controlli preventivi, valutandoli in assoluta serenità per quello che sono, un’assicurazione sulla propria salute».