“Avevo fame di ricerca”: storia di una donna nella scienza

3 min lettura L'esperto risponde A cura di Redazione LILT Ultimo aggiornamento:
“Avevo fame di ricerca”: storia di una donna nella scienza

Nella Giornata internazionale per le Donne e le Ragazze nella Scienza (STEM) abbiamo chiesto ad Arsela Prelaj come e perché è diventata una ricercatrice dell’Istituto Tumori di Milano

Avevo fame di ricerca. Inizia così l’intervista con Arsela Prelaj, ricercatrice dell’Unità di oncologia toracica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.

Nata e vissuta in Albania, sua terra di origine, fino ai 18 anni, da un anno italiana a tutti gli effetti, ma in realtà “cittadina del mondo”. Come tutti i ricercatori d’altra parte, abituati a lavorare in team internazionali, a condividere le soddisfazioni di una scoperta andata a buon fine, le frustrazioni quando invece il lavoro scientifico non porta dove si vorrebbe, e così via.

Ne parliamo oggi, in una giornata speciale: la Giornata Internazionale per le Donne e le Ragazze nella Scienza, istituita nel 2015 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a riconoscimento del ruolo fondamentale che le donne e le ragazze svolgono nella scienza e nella tecnologia.


Dottoressa Prelaj, c’è un momento particolare della sua vita che l’ha portata a intraprendere la strada della ricerca?

Mi sono laureata all’università La Sapienza di Roma e quindi ho iniziato la mia attività prima al Ospedale Sant’Andrea di Roma, dove ho concluso la laurea in Medicina e Chirurgia e successivamente al Policlinico Umberto Primo, sempre di Roma. Lì, mi sono resa conto che mancava un tassello ed era la ricerca. Non mi bastava curare le persone, volevo di più, volevo partecipare alla ricerca di nuove strategie di cura, di nuove soluzioni utili per la qualità di vita dei malati, per migliorare la loro sopravvivenza. Ho intrapreso un filone di ricerca, documentandomi, concentrandomi su due patologie: il glioblastoma e il tumore al polmone. E per approfondire questi ambiti, ho vinto una borsa di studio ESMO che mi ha permesso di andare prima all’Istituto Europeo di Oncologia a Milano e quindi a Manchester in Gran Bretagna. Infine, sono approdata all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, dove i due ambiti, cura e ricerca, fanno parte della mission dell’Istituto, come di tutti gli IRCCS.

A oggi, il 2021 per lei è stato l’anno più bello, ce lo racconta?

Ho avuto un bimbo, la mia grande felicità, e durante la maternità ho scritto un progetto di ricerca che coordino a livello internazionale. E’ il progetto con il contributo maggiore ad oggi, circa dieci milioni di euro, l’Istituto è capofila e sono coinvolti i maggiori Centri europei di tumore al polmone, oltre a un Centro a Israele e un altro a Chicago, negli Stati Uniti. Oggetto dello studio è il tumore al polmone. Sappiamo che l’immunoterapia, eccezionale, non funziona su tutti in uguale modo ma non se ne conosce la ragione. Con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, vorremmo trovare un biomarcatore oppure un pool di biomarcatori, che possano aiutare a rispondere alle domande irrisolte, al fine di migliorare la qualità di vita dei pazienti. Certo, essere un coordinatore giovane di un progetto così grande ha pregi e difetti, è più difficoltoso perché non ho ancora un nome conosciuto, ma per fortuna nell’ambito della ricerca ci sono meno disuguaglianze rispetto ad altri ambiti lavorativi. Nel senso che la mia giovane età, il fatto che sia donna, con una famiglia, non rappresentano un gap, soprattutto all’estero.

Come riesce a conciliare la sua vita da mamma con quella di ricercatrice?

Non è facile e il coordinamento di questo Progetto mi impegna molto. Ho un marito meraviglioso che comprende il mio amore per la ricerca ed è un po’ “mammo” e in più, i miei genitori mi aiutano molto. Poi, ho imparato a non mischiare casa e lavoro, e così, quando sono a casa, sono solo per la mia famiglia e per il mio bambino. Non è semplice, anche perché spesso la ricerca viene ancora vista come un hobby, un’attività da riservare al tempo libero dalla pratica clinica. E molte volte mi chiedo se da grande avrà da ridire sulla sua infanzia, o se invece, condividerà la mia stessa passione, la curiosità, e magari sarò semplicemente un esempio per lui.

Redazione LILT