Sono con LILT da tanto tempo. All’inizio non sapevo cosa fosse, ma per fortuna l’ho trovata sulla mia strada. Sono entrato nel 2001 dopo aver fatto il corso di formazione obbligatorio. Pensavo di stare negli ospedali, ma mi hanno detto di andare negli accompagnamenti perché c’era maggior bisogno.
L’attività di volontariato per LILT è la cosa più bella che ho fatto, dopo mia figlia. La sera prima del mio primo accompagnamento ero terrorizzato perché temevo di incontrare qualcuno che manifestasse la sua malattia in maniera negativa. E invece no, i nostri assistiti sono incredibilmente piacevoli.
Io credo che per fare l’accompagnatore siano necessarie due doti: l’umanità e la capacità di ascolto perché noi siamo a contatto con le persone in macchina per molto tempo. Io ho un trucco: con gli uomini parlo di calcio, con le signore di cucina. La LILT cerca di non farci accompagnare le stesse persone per evitare di creare affezione perché, purtroppo, non sempre le cose vanno bene.
È durissimo quando si ha a che fare con i bambini. Uno dei casi più toccanti: dovevo accompagnare una bambina di 4 anni all’Istituto dei Tumori per un ciclo di terapia. La bambina era accompagnata dalla madre, una ragazza di 22 anni, e per tutto il tragitto hanno scherzato e riso. Continuavo a chiedermi come mai la madre non fosse preoccupata e mi rispondevo che il dispiacere fa reagire in maniera insolita. Nel viaggio di ritorno a casa, la bambina si addormentò e, all’improvviso, la madre mi appoggiò una mano sulla spalla e disse piangendo “Alessandro, ma perché proprio la mia bambina?”. Non sono riuscito a dire nulla. Capita anche questo a noi volontari. Per questo penso che sia fondamentale avere quelle due doti.
Grazie a tutti coloro che sostengono il progetto Mai Soli di LILT e ci permettono di portare avanti il servizio di accompagnamento dei malati.