Lo psichiatra Claudio Mencacci legge il film che ha portato al cinema piccoli e grandi in abbigliamento rosa. Dal mondo ideale plastificato al salto nella consapevolezza, Barbie scopre la differenza di genere.
Attesissimo, ha fatto il pieno. Così coinvolgente ancora prima di vederlo, tanto da spingere gli spettatori a presentarsi con almeno un indumento rosa.
Parliamo di Barbie, il film che ha fatto discutere e che continua tuttora a far parlare di sé. Perché è una favola, ma non del tutto. C’è anche un po’ di satira. Ed è anche lo spunto per riflettere sulla condizione femminile e sul ruolo maschile. Come ci racconta Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia.
Barbie vive una vita perfetta a BarbieLand, in un mondo rosa. È la visione nel concreto dei giochi delle bambine, con tutte le Barbie, Ken, le ville, le piscine, le feste serali. «È il racconto di un risveglio gioioso, pieno di vitalità, le persone vivono un tempo piacevole e lo condividono con gli altri», racconta il professor Mencacci. «E’ un mondo ideale in cui le persone non sperimentano altre emozioni se non quelle della serenità, della spensieratezza. Non esistono i pensieri tristi, negativi, l’invidia, nessuno si interroga sulla vita e non esiste l’invecchiamento. Ma, ed ecco il primo spunto di riflessione, questo mondo paradisiaco, plasticato, non esiste, E quando Barbie esprime un pensiero triste, che riguarda la morte, questo mondo si incrina. In pratica, il pensiero triste è un po’ la mela di Eva e porta Barbie fuori da questo Eden».
Barbie viene catapultata nel mondo reale, insieme a lei Ken. Inizia l’esplorazione di un mondo che la trova impreparata, con uno sviluppo di lei come donna, accompagnata da Ken che interpreta la fragilità dell’uomo contemporaneo, con un ruolo secondario, poco propositivo.
«Colpisce molto la grande scelta che fa Barbie tra l’ordinarietà, la normalità rispetto all’idealità. Quello che muove tutto sono questi pensieri, la consapevolezza della finitezza, della nostra mortalità, che è il motore principale di cambiamento nel comportamento. Questo pensiero è la via della sua emancipazione, la finitezza la spinge verso la sua umanità e le permette di fare il salto nella consapevolezza di sé, del suo diventare donna».
Barbie arriva nel mondo reale e pattina insieme a Ken, felice e spensierata. Gli uomini la guardano, uno la tocca e tutto ciò, crea in lei disagio, esattamente come accade alle donne nella vita.
«Il film è un bel modo per la scoperta del mondo femminile, la scoperta che si possa trovare un’identità non stereotipata, che significa al di là di essere solo mamma, oppure solo bella, fuori dall’oggettività. Il film inizia con Barbie che è una bambola, e finisce con lei che entra nel circuito dell’umanità: fa riflettere sul lascito alle generazioni che seguiranno. Non più la vita che è un gioco, statica, sempre giovani e belli, ma un continuo evolversi, nella consapevolezza della condivisione, di un destino comune».
Prosegue lo psichiatra: «Barbie si scontra con un’altra realtà, con un mondo dove vige ancora il patriarcato. I maschi sono stereotipati, goffi, secondari. E quando Barbie inizia l’esplorazione di un mondo che la trova impreparata, con lo sviluppo di lei come donna, si scontra con gli uomini del mondo reale, che si dimostrano prepotenti, violenti, ma che mostrano la stereotipia e la pochezza del pensiero maschile. È un pensiero volto al potere e come tale, non è mai di condivisione. Nel film si nota molto la differenza di genere con la condivisione caratteristica che prevale nelle donne, Barbie compresa, e l’aspetto soverchiante maschile».