Diagnosi e screening: due ambiti dell’oncologia in cui l’intelligenza artificiale è già un metodo supplementare a disposizione dei medici. La ricercatrice Arsela Prelaj riepiloga applicazioni e opportunità dell’avanzamento tecnologico in medicina alla luce di un recente congresso dell’Istituto nazionale tumori di Milano.
Si parla molto in questo periodo di intelligenza artificiale, un argomento che proietta verso un futuro che in parte è già nella nostra quotidianità. E che talvolta genera anche ansia, come in seguito alle dichiarazioni di Geoffrey Hinton, pioniere dell’intelligenza artificiale, che nel corso di un’intervista a Wired US ha espresso le sue preoccupazioni per quanto potrebbe accadere nei prossimi decenni, quando le tecnologie potrebbero prendere il sopravvento sull’umanità. E se può non turbare il pensiero di un’automobile guidata grazie all’intelligenza artificiale, altrettanto non si può dire per ciò che riguarda l’ambito medico e l’idea di affidare la salute a una macchina. Per sapere a che punto è la ricerca in campo medico, ne parliamo con Arsela Prelaj, medico oncologo e ricercatrice dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e dottoranda in Bioingegneria con focus su Intelligenza Artificiale all’Università Politecnico di Milano.
Dottoressa Prelaj, in quali campi l’intelligenza artificiale potrebbe essere utilizzata?
Di sicuro, diagnosi e screening sono i due campi d’elezione di applicazione di questa tecnologia. Uso il presente perché è già usata da noi ricercatori, soprattutto nella ricerca traslazionale, ma anche nella pratica clinica ad esempio, nel programma di screening nazionale RISP, Rete Italiana per lo Screening Polmonare, finanziato dal Ministero della Salute e coordinato dall’Istituto. Qui, la TAC viene analizzata con programmi di Intelligenza Artificiale per aiutare il radiologo nella lettura dell’esame. Per quanto riguarda la diagnosi, invece, cito ad esempio il Mount Sinai di New York, dove il referto in caso di esami radiologici con questa modalità specifica che la diagnosi è stata fatta con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e poi controllata dal radiologo.
Infine, è interessante anche l’applicazione in laboratorio, perché l’anatomo-patologo studia le immagini grazie al Deep Learning, una delle branche dell’intelligenza artificiale, a vantaggio di una diagnosi più raffinata.
Lei è una ricercatrice, a cosa serve nel suo ambito?
Ci può aiutare molto. Sto coordinando il progetto internazionale I3LUNG, finanziato con 10 milioni di euro nell’ambito del Programma Quadro Horizon Europe, che ha come obiettivo quello di individuare diversi possibili biomarcatori per rendere l’immunoterapia personalizzata e quindi più efficace. E per arrivare a questo scopo, sfruttiamo le potenzialità dell’intelligenza artificiale.
Sempre nell’ambito della ricerca, ci sta aiutando nell’impostazione di lavori scientifici utili per predire la tossicità di farmaci oncologici, cosa che al momento ci risulta ancora difficile, e anche per la messa a punto di nuove molecole. Ci sono infine anche già delle ipotesi allo studio al fine di impiegare l’intelligenza artificiale per aiutare a selezionare come braccio di controllo negli studi clinici i pazienti trattati in ambito di real world.
Sono fondati i timori relativi alla tecnologia che sovrasterà il medico?
No, è un avanzamento tecnologico, un metodo in più a favore del medico e non competitivo. Anzi, ottimizzerà i diversi step dalla diagnosi alle terapie, permettendo al medico di dedicarsi in modo più approfondito al colloquio col paziente, e una maggiore serenità da parte del malato sulle decisioni che vengono prese per il suo percorso terapeutico.
Giornalista scientifica dal 1992, specializzata in comunicazione della salute con particolare attenzione all'oncologia. Esperienza pluriennale in campagne informative e divulgazione scientifica. Vincitrice del premio Giovanni Maria Pace nel 2019 per il giornalismo in ambito oncologico.