Con l’ondata di pandemia in corso, si torna a parlare dei farmaci che vengono utilizzati per la terapia dei malati Covid. E i progressi in questi ormai quasi due anni sono stati importanti. A marzo 2020 le terapie venivano somministrate ai pazienti che arrivavano in ospedale con l’infezione in fase avanzata, spesso si trattava di farmaci “prestati” dalla cura di altre malattie, e per molti oggi l’uso è stato abbandonato.
Ora, si tratta di principi attivi che hanno alle spalle studi scientifici ad hoc, mirati all’infezione da Sars-Cov-2. Un bel passo avanti, che ovviamente non pone in secondo piano il ruolo della vaccinazione, che rimane l’unica arma a disposizione per difendersi dal virus e proteggere le persone più fragili.
Ma qual è oggi lo stato dell’arte dei farmaci anti-Covid? E quando servono? A queste e ad altre domande, ha risposto Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto Mario Negri.
Professor Remuzzi, è di marzo 2020 un suo articolo su La Lettura, che affronta le cure in ospedale e cita Remdesivir: cos’è cambiato da allora?
Remdesivir è un farmaco importante, con un curriculum di tutto rispetto. È un antivirale sviluppato per combattere il virus Ebola e che in seguito si è dimostrato attivo contro la Sars e la Mers, i due virus che fanno parte della famiglia dei coronavirus, come il Covid-19. A inizio pandemia veniva utilizzato per le forme più avanzate ma i risultati erano per lo più deludenti. Nel tempo, si è capito che non era sbagliata l’intuizione di utilizzarlo per la terapia del Covid, ma l’indicazione. Oggi sappiamo che bisogna somministrarlo precocemente, nei primi dieci giorni di malattia, quando il virus è nella fase di replicazione. Dopo, questa iperattività tende a calare e iniziano le risposte del sistema immunitario e a livello di infiammazione sistemica col decorso ben noto.
Come si somministra?
Al momento l’unica formulazione disponibile è per endovena e questo fa sì che si possa somministrare solo in ospedale. È un farmaco impegnativo, che può essere tossico sul fegato, ma è allo studio una formulazione per via orale, che avrà innegabili vantaggi: assorbimento rapido del principio attivo a livello gastrointestinale in modo da ridurre al minimo il rischio di danni epatici, e la praticità che ne permetterà la somministrazione a domicilio.
Remdesivir è l’unico antivirale?
No, ne abbiamo altri due, entrambi si somministrano per via orale all’inizio della malattia e sono stati concepiti per la terapia a domicilio. Uno è Molnupiravir, approvato da AIFA, il nostro Ente regolatorio, a fine dicembre 2021 e in fase di distribuzione dalle Regioni. Gli studi sono stati condotti su pazienti ospedalizzati e non, la metà ha assunto il farmaco e la metà il placebo. Il miglioramento, dati alla mano, riguarda all’incirca il 30% dei malati.
L’altro, che al momento sta aspettando l’autorizzazione EMA, l’Ente regolatorio europeo, si chiama Nirmatrelvir. Ha una caratteristica che lo rende diverso dagli altri antivirali: inibisce una proteasi, la C3-like, che è comune a tutti i coronavirus, perché è quella che utilizza sempre il virus per assemblare le proteine di cui è formato. Questo potrebbe far sì che il farmaco diventi il “Jolly” da prescrivere anche in futuro con le nuove varianti e anche in caso di altre epidemie o addirittura pandemia da nuovi coronavirus. Nirmatrelvir però non viene somministrato da solo, ma in associazione a Ritornavir, un vecchio farmaco che era nato per la terapia dell’HIV, e che aumenta la durata di azione di Nirmatrelvir. Gli studi qui dimostrano un’efficacia pari all’80%, e per questo, potrebbe essere decisa l’autorizzazione al commercio in emergenza, alla luce dell’aumento dei casi in tutta Europa.
Si possono prescrivere a tutti, oppure ci sono delle indicazioni?
Sono farmaci riservati ai pazienti fragili, cioè persone con problematiche che potrebbero rendere pericolosa l’infezione perché a rischio di evoluzione in una forma grave. In pratica, si tratta di chi è obeso, oppure soffre di diabete, o ipertensione, e questo indipendentemente dall’età, oppure di chi ha una malattia cronica respiratoria, oppure a carico del sistema immunitario, o ancora, una patologia oncologica. Questo, ovviamente, vale anche per Remdesivir.
Non abbiamo parlato di anticorpi monoclonali: com’è la situazione?
Ce ne sono diversi e tutti hanno la capacità di inattivare la proteina spike del virus, cioè la chiave che il virus usa per entrare nelle cellule. Al momento gli anticorpi monoclonali disponibili per curare il Covid-19 sono il bamlanivimab in associazione con etesevimab, e imdevimab in combinazione con il casirivimab. Ad agosto è stato approvato dall’FDA, l’Ente americano, un altro anticorpo monoclonale, il sotrovimab, che sembra essere efficace anche contro le varianti del virus, Omicron compreso. Per questo anticorpo monoclonale in particolare c’è uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, che ha dimostrato una riduzione della progressione della malattia verso la forma grave nell’85% dei pazienti. Come per gli antivirali, anche nel caso degli anticorpi monoclonali, che vanno somministrati per endovena in ospedale, la regola è sempre la medesima, cioè utilizzo precoce. Infine, va citato il MAD0004J08, anticorpo monoclonale molto potente ed efficace contro tutte le varianti, incluso la delta, che sta studiando il gruppo diretto dal dottor Rino Rappuoli, presso Toscana Life Sciences.
Per tutti questi farmaci l’uso deve essere tempestivo, domiciliare oppure in ambulatorio: com’è la procedura?
È il medico di medicina generale che deve identificare i pazienti candidati a queste terapie e segnalarlo all’ospedale di riferimento, che provvede a effettuare le verifiche del caso e a effettuare la prescrizione della terapia. Il tutto, va fatto in tempi rapidi perché col trascorrere dei giorni, l’efficacia del farmaco diminuisce. Per questo è necessario trovare una modalità più fluida.
E per tutti gli altri, che non sono fragili ci sono dei farmaci anti Covid?
Ci sono gli antinfiammatori non steroidei o FANS, come acido salicilico, ibuprofene, che vanno ovviamente assunti sotto controllo medico. Noi, intendo Mario Negri, abbiamo condotto due studi che hanno avuto come oggetto un protocollo di cura proprio con i FANS. Il primo che ha coinvolto 180 pazienti, pubblicato lo scorso anno e l’altro in fase di pubblicazione che ha coinvolto 216 malati. Entrambi portano alla stessa conclusione, cioè la riduzione dell’ospedalizzazione nell’80-90% dei casi. Certo, ora questi dati vanno confermati e per questo abbiamo in programma uno studio più vasto, che comprenda anche un gruppo di controllo. Un altro studio importante è quello pubblicato lo scorso anno sul Lancet e in questo caso è stato utilizzato un preparato antiasma che contiene budesonide: è un antinfiammatorio della categoria dei cortisonici e riduce in modo estremamente importante i sintomi se dato all’inizio, per via orale oppure inalatoria. Anche qui, il dato andrà sottoposto a ulteriori validazioni, ma comunque, sia per questo farmaco, sia per i FANS, si tratta di sistemi utilizzabili da tutti, che permettono di affrontare l’infiammazione indotta dal virus prima che cominci a fare dei danni.