Chiedono al paziente se “ha avuto malattie esantematiche”, senza specificare che sono quelle comunemente conosciute come le malattie dei bambini, come il morbillo. Prescrivono esami sottolineando che sono “invasivi”, senza aggiungere come si svolge, oppure che è possibile una sedazione. Rispondono a monosillabi o parlano con toni bassi, incuranti del fatto che magari davanti hanno una persona anziana. Si potrebbe andare avanti così per giorni, raccogliendo i racconti dei pazienti, oppure semplicemente ascoltandoli quando si sfogano tra di loro, nella sala di attesa.
Eppure basterebbe poco per spezzare quella barriera che probabilmente si è ancora più cementificata in questi venti mesi di pandemia. Con vantaggi innegabili. Alcune ricerche internazionali infatti sottolineano che se tra chi cura e chi è curato ci sono empatia e fiducia, si ottiene un miglioramento fino al 20 percento nei processi di guarigione.
La base: accogliere il paziente
Esiste un galateo del camice bianco. Non c’è da stupirsi dunque se il medico si alza dalla scrivania e magari va anche incontro al malato, compatibilmente con le regole anti-Covid, lo saluta chiamandolo per cognome e dandogli del “lei”. Apparentemente questo tipo di accoglienza può sembrare una formalità inutile, ma non è così. Al contrario, pone le basi per un rapporto di rispetto e di fiducia.
Comunicazione interpersonale e tono di voce
Può sembrare che perda tempo il medico, se dedica i primi minuti a chiacchierare. Ma non è così. Al contrario, se lo fa, è un segnale che sta mettendo a suo agio il paziente, al fine di ridurre i problemi di comunicazione, migliorare la qualità della relazione e far sì che racconti senza timore o pudore i sintomi di cui soffre, le abitudini di vita.
L’ambiente di lavoro: scrivania sgombra
A migliorare la comunicazione aiuta anche l’ambiente. La scrivania tra medico e paziente non deve essere una barriera ma un ponte di collegamento: per questo non devono esserci cartellette e documenti vari e lampade dagli ingombri esagerati. Non va bene neppure il computer, che invece va collocato su un tavolino a lato.
Stile comunicativo: dottore parla chiaro!
Il medico non deve usare termini scientifici incomprensibili nel comunicare la diagnosi. E non deve neppure citare continuamente studi clinici per descrivere un possibile trattamento. Le informazioni invece devono essere chiare ed adeguate alla personalità e al grado di conoscenze del paziente e il medico deve rispondere a tutte le domande, per risolvere i dubbi. Sì anche a opuscoli informativi oppure strumenti audiovisivi relativi alla malattia, ma attenzione: possono servire, certo, ma non sostituire il colloquio.
Facilitare il percoso clinico
Tutti gli specialisti, privati e in regime di Servizio sanitario nazionale, dispongono di una cartella clinica per ogni paziente, che va aggiornata in tempo reale. Il medico si riconosce anche da questo: al termine della visita deve consegnare una copia della relazione sulla visita e sulle cure proposte, in modo che anche il medico di famiglia ne sia informato. Non solo. Deve ridurre oppure alleggerire le questioni burocratiche e non aggiungere ulteriori complicazioni. Un esempio? Anche lo specialista può prescrivere gli eventuali esami oppure i farmaci sul ricettario del Servizio sanitario nazionale, per evitare perdite di tempo al paziente,
Il consenso informato del paziente
Nessun trattamento può essere iniziato senza il consenso del paziente, che ha la libertà di decidere sulla sua salute e di discutere insieme al medico le varie opzioni terapeutiche. Prima di firmare il consenso informato quindi è indispensabile effettuare tutte le domande che si ritengono necessarie su quanto viene proposto, valutarne i pro e i contro e, se ci si sente più sicuri, è un diritto chiedere un secondo parere. Attenzione però, ci sono dei limiti. Non è possibile esigere trattamenti contrari alla buona pratica clinica e alla deontologia professionale. Un esempio? Le terapie antitumorali senza fondamento scientifico, come le endovene di bicarbonato, che mettono a repentaglio la vita del malato.
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Giornalista scientifica dal 1992, specializzata in comunicazione della salute con particolare attenzione all'oncologia. Esperienza pluriennale in campagne informative e divulgazione scientifica. Vincitrice del premio Giovanni Maria Pace nel 2019 per il giornalismo in ambito oncologico.