Giulia oggi ha 41 anni ed è del 2014 la diagnosi di tumore al seno, che ha richiesto la mastectomia. Come da protocollo, iniziano quindi chemioterapia e terapia ormonale per cinque anni. E nel 2020, durante i controlli di routine semestrali, la scoperta che qualcosa non andava, come ci racconta, e la diagnosi di metastasi.
Cos’è accaduto?
Il mio seno era predisposto ai fibroadenomi e per questo mi sottoponevo a controlli semestrali. Quella volta, il medico ha voluto andare a fondo di quell’ombra che emergeva dall’ecografia e che non lo convinceva. Era un nodulo infido da indagare, però, e che fosse maligno si è capito in modo definitivo solo dall’analisi dopo l’intervento chirurgico. Per scrupolo, mi è stata prescritta una TAC che ha portato alla scoperta di “qualcosa” di sospetto a un polmone e al bacino. Ho fatto quindi la PET, era il 30 dicembre 2020. Difficile dimenticarsi la telefonata dell’oncologa, che mi comunicava la diagnosi di metastasi.
Come si è sentita?
Mi sono ritrovata ancora una volta spiazzata, Le diagnosi sono difficili da metabolizzare sempre, questa ancora di più. Ma mi sono sentita in buone mani e questo è stato di grande aiuto. Eravamo ancora in piena pandemia, con l’impossibilità di avere qualcuno accanto a me in ospedale che ascoltasse insieme a me la diagnosi, il piano terapeutico. Per questo, è stato ancora più prezioso il rapporto umano che si è intrecciato con le oncologhe che mi hanno seguito: è importante sapere di essere seguita da un team all’avanguardia, ma è altrettanto fondamentale la relazione umana, contare su una voce amica, su qualcuno disposto ad ascoltare, a rispondere ai dubbi e perché no, a raccogliere le nostre lacrime nei momenti di fragilità.
A gennaio l’impostazione della terapia: e poi?
Intanto, un grande senso di sollievo quando l’oncologa mi ha detto che non avrei dovuto sottopormi alla chemioterapia. Sembra assurdo, lo so, ma l’unica fase della mia malattia durante la quale mi sono sentita veramente malata è stata quella che ha richiesto i trattamenti chemioterapici. Certo, c’è una routine da rispettare e un rigore: ho tre pastiglie al giorno da assumere per tre settimane e una settimana di sospensione. Durante questi sette giorni di pausa, ho un giorno di ricovero in day hospital per analisi del sangue e controlli vari. Se va tutto bene, ricevo la confezione di farmaci per i successivi 21 giorni, e così via. Sta andando bene, in sei mesi le metastasi sono scomparse.
Quali sono le difficoltà maggiori nella sua vita quotidiana?
Il mio difetto, se vogliamo dirla così, è da sempre quello di minimizzare la malattia, ed è accaduto anche ora con la malattia metastatica. Questo, devo dire, anche perché non ho caduta di capelli e in generale gli effetti “visibili” di una terapia. Insomma, sto reagendo bene, ma fare finta di nulla non va bene perché il corpo mi manda segnali che devo imparare ad accettare e a condividere.
In che senso?
Assumere una terapia oncologica per via orale sembra nulla, ma ora stanno iniziando gli effetti collaterali ed è giusto che io ammetta le mie fragilità anche sul luogo di lavoro. Ho deciso fin dall’inizio di condividere in ufficio la mia condizione, ma sempre un po’ minimizzando la malattia e questo non va bene. Bisogna imparare ad accettarsi coi propri limiti e ammettere con sé stessa e con i colleghi, oltre che con il datore di lavoro, che talvolta un giorno solo di smart working alla settimana non è sufficiente, che lavorare da casa diventa fondamentale per tenere meglio sotto controllo la stanchezza, i disturbi digestivi, senza nulla togliere all’attività lavorativa.
Si parla molto del ruolo dello psico-oncologo: cosa ne pensa?
La diagnosi di metastasi mi ha imposto, diciamo così, una serie di riflessioni e avere accanto una persona che è in grado di accompagnare i processi psicologici, non è da poco. Poi, certo, ognuno di noi ha un suo modo di reagire e di sviluppare il percorso. Sembra banale, ma nel mio caso ciò che mi ha fatto riflettere su questa mia condizione è stata la necessità di portare gli occhiali anziché le lenti a contatto, c’è voluto qualcosa che intaccasse la mia vanità.
Se pensa a Giulia nel futuro, come la immagina?
Alla luce di questi mesi, e di ciò che sto scoprendo su me stessa, sugli insegnamenti che sto iniziando a trarre dalla mia malattia, so che raggiungerò un compromesso tra le limitazioni fisiche e il mio spirito indomito. Ho una progettualità molto attiva e spero di sfruttare la mia capacità di parlare, scrivere, per fare qualcosa che mi faccia sentire realizzata nella comunicazione. per passare un messaggio positivo.
Oggi che messaggio lancerebbe a chi ha appena avuto una diagnosi di cancro al seno metastatico?
Intanto, di affrontare un giorno alla volta e di capire guardandosi “dentro”, ciò che si può e non si può fare con il proprio corpo e con le proprie energie. Bisogna trovare la pazienza per ridimensionare l’idea che si ha di sé stesse, non fare il passo più lungo della gamba, cercare di essere in contatto con la propria capacità e chiedersi costantemente cosa ci fa stare bene.